Chiunque abbia una vena nerd per l’archeologia, i misteri religiosi e le tecnologie all’avanguardia, non può restare indifferente di fronte a ciò che sta accadendo nel mondo degli studi biblici: i Rotoli del Mar Morto, quei famosi manoscritti scoperti tra il 1947 e il 1956 nelle grotte aride di Qumran, stanno riscrivendo la storia – letteralmente – grazie a un cocktail a base di radiocarbonio, paleografia e intelligenza artificiale. Sì, proprio così: l’IA entra a gamba tesa in uno degli enigmi più affascinanti dell’antico Medio Oriente.
Ma andiamo con ordine. I Rotoli del Mar Morto, noti anche come Manoscritti di Qumran, sono una collezione epocale di circa 900 testi antichi, prevalentemente in ebraico, aramaico e greco, conservati per secoli nelle grotte del deserto della Giudea, nei pressi di un misterioso insediamento noto come Khirbet Qumran. Alcuni di questi testi sono frammenti della Bibbia ebraica, altri sono inni, apocrifi, trattati di legge, ma molti – e qui la cosa si fa intrigante – sono documenti comunitari legati a una setta di cui si sa poco ma che affascina da sempre gli studiosi: gli Esseni. Un gruppo religioso isolato, rigoroso, forse proto-monastico, che potrebbe aver ispirato perfino alcuni elementi del cristianesimo nascente.
Il valore di questi manoscritti non si limita all’interesse religioso. I Rotoli sono una capsula del tempo che ci porta nel cuore pulsante della cultura giudaica del Secondo Tempio, tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C., e ci offrono un accesso privilegiato a testi sacri non filtrati dalla censura rabbinica o cristiana, come sottolineava lo studioso Florentino García Martínez. Un patrimonio documentale che per la prima volta mostra le parole così come furono scritte, lontano da revisioni teologiche o riscritture apologetiche.
E ora, grazie al progetto europeo The Hands That Wrote the Bible, guidato da Mladen Popović dell’Università di Groningen, l’analisi di questi testi ha fatto un balzo avanti clamoroso. Grazie alla collaborazione tra archeologi, storici e data scientist, un’intelligenza artificiale chiamata Enoch – e qui già i nomi evocano misteri biblici – ha permesso di incrociare l’analisi paleografica con la datazione al radiocarbonio, ottenendo una precisione mai raggiunta prima: scarti di 30 anni, roba da far impallidire le stime tradizionali.
Il cuore del sistema è una rete neurale chiamata BiNet, capace di analizzare fino alla più piccola curvatura di una lettera tracciata su pergamena secoli fa. Lo fa esaminando microtracce d’inchiostro, testure, stili di scrittura, e mettendoli in relazione con datazioni certe attraverso algoritmi bayesiani. Tradotto per i non addetti: finalmente possiamo sapere quando è stato scritto un manoscritto e da chi, o almeno da quale scriba. Un sogno lungo settant’anni per gli studiosi.
Due casi emblematici sono già emersi da questa analisi high-tech: il 4QDanielc e il 4QQoheleta. Il primo è un frammento del libro di Daniele, datato proprio al periodo in cui si ritiene che quel testo sia stato scritto, attorno al 160 a.C., in piena persecuzione seleucide. Il secondo, tratto dal libro di Qoelet (l’Ecclesiaste), risale al III secolo a.C., epoca ellenistica, mettendo in discussione la tradizionale attribuzione a re Salomone. Questi frammenti, insomma, potrebbero essere stati scritti da testimoni diretti – o quasi – degli eventi narrati, un’ipotesi che, se confermata, avrebbe un impatto devastante (in senso buono) sulla nostra comprensione della Bibbia e della sua trasmissione.
I rotoli, scoperti casualmente da un pastore beduino, sono ora conservati tra il Museo d’Israele, l’Istituto orientale dell’Università di Chicago, il Museo archeologico di Amman e in alcune collezioni private. Ma non è solo la loro presenza fisica a far discutere: i testi digitalizzati sono ora consultabili online grazie al progetto Digital Dead Sea Scrolls, sviluppato in collaborazione con Google. Un po’ come se potessimo avere tra le mani, seduti alla nostra scrivania, gli scritti segreti di un antico scriba del deserto.
Tutto questo ci costringe a ripensare molti assunti: la cronologia dei testi biblici, lo sviluppo delle lingue ebraiche antiche, l’evoluzione dei gruppi religiosi nel mondo giudaico pre-cristiano. Gli stili Hasmonae e Herodian, ad esempio, che si pensavano appartenere a due epoche distinte, risultano ora coesistere già alla fine del II secolo a.C. Questo significa che l’alfabetizzazione, la produzione scritta e la riflessione teologica erano molto più diffuse – e precoci – di quanto immaginassimo.
Non mancano, ovviamente, perplessità. Alcuni studiosi mettono in dubbio l’uso dell’IA su testi antichi, temendo che la macchina possa “vedere” cose che non esistono, o peggio, forzare le interpretazioni per adattarsi ai dati. Ma la verità è che, pur con tutti i limiti del caso, l’algoritmo Enoch ha aperto una nuova era per l’archeologia del testo. Un po’ come se avessimo costruito un TARDIS linguistico in grado di farci viaggiare nel tempo alla ricerca delle origini della scrittura sacra.
Anche la cultura pop ha fatto tesoro del fascino esoterico di questi rotoli. Chi ha visto Neon Genesis Evangelion ricorderà le enigmatiche “Pergamene del Mar Morto” consultate dalla misteriosa organizzazione SEELE. Una licenza narrativa, certo, ma che sottolinea quanto i Rotoli siano entrati nell’immaginario collettivo come fonte di conoscenza proibita, remota, ancestrale.
E allora, sì: la storia dei Rotoli del Mar Morto è davvero da riscrivere. Ma questa volta lo stiamo facendo con il machine learning sotto il braccio e lo spirito critico ben acceso. Un’occasione rara, quasi unica, per unire Indiana Jones e Alan Turing sotto la stessa pergamena.
Cosa ne pensate di questa rivoluzione “nerd” nell’archeologia biblica? Avete mai sognato di decifrare un rotolo millenario con l’IA? Scrivetelo nei commenti o condividete l’articolo sui vostri social: chissà che qualcuno non ritrovi il suo frammento di verità… in un algoritmo!
L’articolo Qumran tra archeologia, IA e misteri millenari: la rivoluzione dei Rotoli del Mar Morto proviene da CorriereNerd.it.
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