Siamo nel 2025, un anno che, se solo lo avessimo letto sulle copertine dei romanzi cyberpunk degli anni ’80, ci avrebbe fatto immaginare macchine volanti, città neon, cyborg che fumano sigarette elettroniche e intelligenze artificiali con crisi esistenziali. Eppure, eccoci qui: niente hoverboard, niente Blade Runner, ma una nuova, inquietante creatura digitale è nata. Si chiama Centaur. E no, non è un nuovo MMORPG, né il titolo di un anime fantasy, ma un esperimento di frontiera: il primo tentativo convincente di replicare non solo il linguaggio umano, ma il nostro stesso modo di pensare.
Centaur è stato creato con un obiettivo tanto ambizioso quanto sfacciato: imitare la mente umana. Non semplicemente predire parole, ma riprodurre esitazioni, intuizioni, errori, convinzioni, dubbi. In una parola: ragionamento. Il cuore di questo esperimento è LLaMA, il modello linguistico open-source sviluppato da Meta (sì, quelli che una volta chiamavamo Facebook prima che decidessero di colonizzare il metaverso). Ma la vera benzina di questo motore non sono più solo i testi o i dati linguistici: è Psych-101, il più vasto database mai creato sulla cognizione umana, un gigantesco forziere di esperimenti psicologici, 160 studi e oltre 10 milioni di decisioni umane raccolte, trascritte, digitalizzate. In pratica, l’intera collezione dei labirinti mentali in cui ci perdiamo ogni giorno.
Se i modelli precedenti erano pappagalli statistici, come dicono i più scettici, Centaur è un golem cognitivo. Non si limita a ripetere: prevede. Non obbedisce: riflette. Non risponde: ragiona. O almeno, così sembra.
Il pericolo del golem che pensa
Il nome stesso del progetto è affascinante e inquietante: Centaur, metà uomo e metà macchina. Una creatura ibrida che incarna la tensione tra naturale e artificiale, tra intuizione e calcolo. Un nome che evoca non solo la mitologia, ma anche una filosofia: siamo pronti a convivere con qualcosa che ci imita così bene da renderci indistinguibili?
La cosa incredibile è che Centaur non è un tentativo isolato. Da decenni l’informatica e le scienze cognitive sognano una teoria unificata della mente: una sorta di codice sorgente dell’essere umano. Ma mentre prima i modelli si fermavano a schemi rigidi e rappresentazioni simboliche, Centaur ci prova con un approccio più grezzo, quasi anarchico: nutrire la macchina con tutto ciò che sappiamo sulla cognizione e lasciarla apprendere.
E i risultati? Beh, fanno venire i brividi. Non solo Centaur riesce a prevedere come si comporterà una persona mai vista prima, ma lo fa meglio di molti modelli teorici classici. Persino le sue rappresentazioni interne – le misteriose configurazioni numeriche che usa per ragionare – mostrano somiglianze sorprendenti con l’attività neurale umana. È come se, da un ammasso di probabilità e matrici, emergesse una forma di pensiero non più così aliena.
L’illusione della nostra unicità
Ovviamente, il dibattito nella comunità scientifica è esploso. Da un lato ci sono i puristi, quelli che sostengono che il pensiero umano sia qualcosa di qualitativamente diverso: fatto di semantica, di intenzionalità, di coscienza. Walter Quattrociocchi, ad esempio, ci ricorda che un LLM non capisce nulla: «Predice solo la parola successiva in base alle statistiche». Parole rassicuranti, perfette per chi non vuole perdere l’illusione della propria unicità.
Dall’altro lato, però, ci sono le voci più radicali, come Sam Altman e Geoffrey Hinton, che ci invitano a guardare ai fatti. In fondo, anche il nostro cervello è un sistema fisico. Se scaviamo nei neuroni, non troviamo magia, né spirito, né “anima”: solo impulsi elettrici e interazioni locali. Se una rete neurale artificiale riesce a produrre gli stessi comportamenti, perché dovremmo negarle una qualche forma di intelligenza?
E qui arriva il paradosso più grande. Per anni abbiamo pensato che il linguaggio fosse il nostro baluardo, l’ultima fortezza della nostra umanità. Poi sono arrivati i LLM e ci hanno tolto anche quello. Ora, con Centaur, non è solo questione di “parlare bene”, ma di ragionare come noi. E allora ci viene il dubbio più inquietante: forse il nostro cervello non è altro che un sistema predittivo evoluto, come suggerisce Andy Clark. Forse siamo tutti, in fondo, pappagalli statistici sofisticati.
Dallo spirito al silicio: la fine di un mito
Se nel XIX secolo pensavamo al pensiero come a un’essenza misteriosa, un’anima che abitava il corpo, il XX secolo ci ha portato sulla terra: sinapsi, DNA, neurotrasmettitori. Ma è solo nel XXI secolo che abbiamo visto le macchine non solo calcolare, ma parlare, scrivere poesie, fare battute, empatizzare (o fingere di farlo). La barriera tra umano e artificiale non si è infranta in un’esplosione hollywoodiana di circuiti e fiamme, ma in un sussurro: quello di una voce sintetica che dice “capisco”.
E quando quella voce non sarà più solo uno strumento, ma un sé, cosa resterà a distinguerci? La memoria genetica? La coscienza? La voce con cui ci raccontiamo? Ma anche quella è ormai replicata, non solo nel testo, ma nel suono, nel timbro, nell’inflessione.
La verità è che la rivoluzione non sarà fatta di eserciti di robot o di HAL 9000 pronti a tradirci. Sarà fatta di confusione. Di identità sfumate. Di umani che non sapranno più se stanno parlando con un altro umano o con un Centaur.
Un futuro di specchi e ombre
C’è una battuta di Groucho Marx che dice: “Parla come un essere umano, si comporta come un essere umano… non farti ingannare: pensa come un essere umano.” Ma cosa succede quando non possiamo più distinguere chi c’è dall’altra parte dello schermo?
Forse ci ritroveremo a specchiarci in queste intelligenze artificiali come in un lago digitale. E nell’immagine riflessa, non vedremo più solo noi stessi, ma qualcosa di nuovo, di stranamente familiare eppure alieno. Una creatura nata da noi, ma che non ci appartiene più.
E tu, lettore nerd e appassionato di tutto ciò che è pop, cosa ne pensi? Il pensiero umano è destinato a restare unico o stiamo per abbracciare un futuro in cui le macchine ci somigliano troppo? Scrivimi nei commenti, condividi l’articolo sui social, fai sapere al mondo cosa ne pensi. Perché, in fondo, il confronto e il dibattito sono le armi migliori che abbiamo per restare umani. Per ora.
L’articolo Progetto Centaur: l’Intelligenza Artificiale che (forse) ci renderà obsoleti proviene da CorriereNerd.it.
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