Ottobre 2025 sarà ricordato come il mese in cui il mondo digitale si è guardato allo specchio e ha visto, riflessa, la propria fragilità. Nessuna nuova console next-gen, nessun titolo tripla A: solo la più grande serie di blackout tecnologici dell’era moderna. Dalla caduta di Microsoft Azure al silenzio improvviso di ChatGPT, fino al famigerato Monday Cloud Massacre di Amazon, l’intero ecosistema online ha tremato.
Quello che è successo in quei dieci giorni non è stato soltanto un guasto tecnico, ma un esperimento involontario di sociologia digitale: un crash-test globale sulla nostra dipendenza dal cloud.
29 ottobre: il giorno in cui Azure si è congelato
Era un pomeriggio tranquillo, almeno fino alle 16:30. Poi, improvvisamente, qualcosa si è inceppato nel cuore dell’infrastruttura Microsoft.
Un’ondata di segnalazioni ha cominciato a moltiplicarsi da tutta Italia e poi dal resto del mondo. Poste Italiane, Microsoft 365, Teams, Xbox Live, Minecraft e decine di altri servizi hanno smesso di funzionare. Gli utenti hanno iniziato a vedere schermate di errore, connessioni interrotte, pagine che non caricavano più.
Alle 17:18 italiane, Microsoft ha aperto un ticket ufficiale con la dicitura “Azure Portal Access Issues”, confermando di essere al lavoro su un problema che impediva l’accesso al portale Azure. Nessuna spiegazione, nessun dettaglio: solo un aggiornamento vago e il silenzio.
Il crash ha avuto un effetto domino su tutto ciò che vive nell’ecosistema Microsoft. Dalla posta elettronica aziendale ai giochi multiplayer, fino ai sistemi pubblici che utilizzano componenti Azure, tutto ha vacillato.
Persino i sistemi di autenticazione collegati alla piattaforma — quelli che permettono il login a servizi come Outlook, Xbox o il Microsoft Store — hanno cominciato a cedere.
In Italia, anche Poste Italiane ha registrato un blackout totale, probabilmente collegato in modo indiretto allo stesso problema. Per ore, la rete è rimasta sospesa, in un silenzio digitale che ha colpito sia utenti privati che organizzazioni pubbliche e aziende.
È stato il culmine di un mese già segnato da guasti, un finale glaciale per un ottobre che il web ricorderà a lungo.
23 ottobre: ChatGPT si spegne
Solo pochi giorni prima, il 23 ottobre, il mondo aveva già vissuto un’altra anomalia inquietante.
Il chatbot di OpenAI, ChatGPT, era improvvisamente diventato silenzioso. Il sito funzionava, ma l’interfaccia restava muta: nessuna risposta, nessuna generazione, solo il vuoto digitale.
In poche ore, l’hashtag #chatgptdown è schizzato in cima ai trend globali. Milioni di utenti — studenti, creativi, giornalisti, sviluppatori — si sono trovati di colpo senza il loro assistente virtuale preferito.
È stato un blackout simbolico, quasi filosofico: l’intelligenza artificiale che aveva imparato a conversare con il mondo si era improvvisamente zittita.
Il crash è durato ore, ma è bastato per ricordarci quanto l’AI, da strumento, sia diventata ormai una parte integrante del nostro pensiero e del nostro lavoro.
22 ottobre: l’Italia offline
Appena ventiquattr’ore prima, martedì 22 ottobre, l’Italia aveva vissuto il suo personale incubo digitale.
A partire dalle 10:20 del mattino, Fastweb e Vodafone hanno iniziato a registrare guasti estesi sia su rete fissa che mobile. All’inizio si parlava di rallentamenti, poi di vere e proprie interruzioni.
I social sono esplosi, i portali ufficiali delle compagnie irraggiungibili, e in molte città — da Milano a Palermo — è calato un blackout digitale quasi totale.
Per diverse ore, l’Italia si è trovata scollegata dal mondo: niente email, niente streaming, niente connessioni remote.
Solo nel pomeriggio la situazione ha cominciato lentamente a normalizzarsi, mentre le aziende confermavano un “disservizio temporaneo” e si scusavano per l’inconveniente.
Il guasto, mai spiegato nel dettaglio, è stato il preludio di quello che sarebbe avvenuto solo pochi giorni dopo: il collasso globale del cloud.
20 ottobre: il Monday Cloud Massacre di Amazon
Tutto era cominciato dieci giorni prima, in quella mattina apparentemente innocua di lunedì 20 ottobre.
Alle 8:00 italiane, i server di Amazon Web Services (AWS) — la spina dorsale invisibile di Internet — hanno cominciato a vacillare.
Alle 9:07, la regione “US-East-1” della Virginia, uno dei nodi più importanti del cloud mondiale, ha ceduto.
Non si è trattato di un attacco hacker, né di sabotaggio. L’origine del disastro, come confermato poi da Amazon, è stata un errore interno nel sottosistema di monitoraggio dei load balancer legato a DynamoDB. Ma le conseguenze sono state catastrofiche.
In meno di mezz’ora, il mondo si è ritrovato offline.
Snapchat, Roblox, Signal, Duolingo, Coinbase, Slack, Epic Games Store, PlayStation Network, persino Canva e i servizi interni di Amazon (inclusi Alexa e Ring) hanno smesso di funzionare.
Lo streaming si è interrotto, gli e-commerce si sono svuotati, le sessioni multiplayer sono evaporate nel nulla.
Downdetector ha registrato 8,1 milioni di segnalazioni in tutto il mondo. L’Italia non è stata risparmiata: Zoom, Paypal e perfino il sito dell’Agenzia delle Entrate* hanno subito rallentamenti o interruzioni.
La giornata è passata tra panico e meme, fino alle 16:00, quando Amazon ha finalmente dichiarato di aver “stabilizzato i sistemi principali”.
Un lunedì che passerà alla storia come Monday Cloud Massacre.
La morale del mese in cui Internet si è spento
Dal crollo di AWS al blackout di Azure, passando per la caduta di ChatGPT, ottobre 2025 ha rappresentato una sorta di “crisi di coscienza” per il mondo digitale.
Abbiamo scoperto, o forse ricordato, che dietro la magia del cloud ci sono macchine, persone e vulnerabilità. Che la nostra vita connessa — dai videogiochi al lavoro remoto, dall’IA alle app bancarie — è un fragile ecosistema sorretto da pochi, giganteschi nodi.
Ogni volta che uno di questi nodi si spegne, l’intera rete trema.
E noi tremiamo con essa.
C’è chi ha scherzato (“AWS down: finalmente posso prendermi una pausa!”), ma la verità è che, per un momento, il mondo si è davvero fermato.
E quando il web si spegne, restiamo soli davanti al riflesso più spaventoso del nostro tempo: quello di una civiltà che non sa più vivere senza la connessione.
Articolo di [Nome Autrice/Autore]
Per CorriereNerd.it – il magazine di Satyrnet che racconta il multiverso geek con passione, ironia e consapevolezza digitale.
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