Non so voi, ma io con Netflix ho avuto una vera e propria storia d’amore. Di quelle intense, che iniziano con gli occhi a cuoricino e la voglia irrefrenabile di passare ogni sera insieme. Netflix era il mio rifugio sicuro, il luogo dove potevo buttarmi a capofitto in storie mozzafiato, divorare una stagione intera in una notte, e sentirmi parte di un universo che sembrava fatto apposta per me. Poi però, come succede anche nelle relazioni più belle, qualcosa ha iniziato a incrinarsi. Prima le restrizioni sulla condivisione dell’account, poi l’introduzione di un piano con pubblicità. E ora… le pubblicità generate dall’intelligenza artificiale? Davvero, Netflix?
Dal sogno dello streaming alla distopia algoritmica
La notizia è di quelle che fanno rumore, anche se detta con tono rassicurante e manageriale. A partire dal 2026, Netflix introdurrà annunci pubblicitari interattivi e generati dall’IA che compariranno durante la visione dei contenuti o nelle pause. A comunicarlo è stata Amy Reinhard, presidente del settore pubblicitario di Netflix, durante un evento ufficiale. Lei parla di “attenzione degli utenti altissima” e di “spot che coinvolgono quanto i contenuti stessi”. Ma io, da spettatrice appassionata di serie TV — quelle che ti cambiano le giornate, che ti scavano dentro — non riesco a non provare un brivido freddo.
Perché sì, a me la tecnologia affascina, mi piace curiosare tra le innovazioni, ho un debole per le intelligenze artificiali nei racconti sci-fi, ma c’è un limite tra evoluzione e intrusione. E questa mossa di Netflix mi suona tanto come l’ennesimo passo verso una distopia digitale, dove l’esperienza dello spettatore viene sacrificata sull’altare della monetizzazione.
L’inquietudine dietro l’algoritmo
Immaginate di essere immersi in un episodio tesissimo di Black Mirror, o nel crescendo emotivo di una puntata di The Crown, e all’improvviso compare una pubblicità che sa esattamente cosa avete cercato su Google ieri. Non solo: magari la voce dello spot è stata sintetizzata per somigliare a quella del vostro doppiatore preferito, e l’ambientazione dello spot replica la serie che state guardando. Spaventoso, no? Non siamo poi così lontani da quello che ci raccontava Minority Report, solo che qui non c’è Tom Cruise a salvarci con un guanto hi-tech.
Netflix, un tempo faro di creatività, ora sembra voler diventare un laboratorio dove si sperimentano nuovi modi per tenerci incollati allo schermo… per venderci qualcosa. Con IA che scandagliano i nostri dati per proporci pubblicità su misura, il confine tra contenuto e pubblicità rischia di diventare sempre più sfumato. E la cosa mi inquieta profondamente.
Dove è finita l’anima?
C’è una parte di me — quella che ama il binge watching notturno, che piange per un personaggio morto alla fine della stagione, che si emoziona per i titoli di testa — che si sente tradita. Perché le serie TV sono arte, sono narrazione, sono espressione dell’animo umano. Le pubblicità invece, per quanto possano essere brillanti, rimangono un prodotto commerciale. E se a creare quelle pubblicità non è nemmeno una persona, ma un algoritmo, allora l’ultima scintilla creativa rischia di spegnersi del tutto.
Pensateci: quegli spot che vi hanno fatto sorridere, riflettere, persino commuovere, sono nati da teste e cuori umani. Da copywriter, registi, attori, musicisti. Quando tutto questo sarà sostituito da un’intelligenza artificiale che “ottimizza” le emozioni, cosa ci resterà? Pubblicità levigate, perfette, ma prive di quella scintilla imperfetta che rende le cose davvero memorabili.
Tre ore di pubblicità al mese: è questo il prezzo?
I dati riportati da Kotaku parlano chiaro: gli utenti del piano con pubblicità passano circa tre ore al mese a guardare spot. E per ora sono ancora umani. Ma il 2026 è dietro l’angolo, e con esso l’arrivo di questi spot “intelligenti”. Personalizzati. Su misura. E anche invasivi, diciamolo. Perché per essere così “su misura”, devono conoscere tantissimo di noi. E questo significa cedere dati, comportamenti, abitudini. È il prezzo della personalizzazione. Ma io mi chiedo: ne vale davvero la pena?
Amy Reinhard ha detto che il superpotere di Netflix è l’unione tra tecnologia e intrattenimento. E su questo potrei anche essere d’accordo. Ma un superpotere, come ci insegna l’amato zio Ben di Spider-Man, comporta sempre una grande responsabilità. E io spero davvero che Netflix usi il proprio potere per migliorare l’esperienza di visione, non per trasformarla in una vetrina algoritmica.
E ora?
Da donna che ama le serie, che ci vive dentro, che parla con gli amici usando riferimenti a Breaking Bad o Stranger Things come se fossero esperienze di vita reale, mi sento in bilico tra la curiosità e il disagio. Sono pronta a vedere dove ci porterà questa nuova ondata di innovazione, ma non voglio rinunciare a quella magia tutta umana che ha fatto innamorare milioni di persone del mondo delle serie TV.
E voi? Che ne pensate di questa svolta? Le pubblicità create dall’IA vi incuriosiscono o vi inquietano? Parliamone nei commenti! Condividete questo articolo con altri appassionati per continuare insieme questa riflessione sul futuro dello streaming. Forse, se faremo abbastanza rumore, riusciremo ancora a farci ascoltare.
L’articolo Netflix e le pubblicità generate dall’IA: il futuro inquietante dello streaming? proviene da CorriereNerd.it.
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