La prima volta che ho visto Mirumi muovere la testa con quella timidezza da creaturina uscita direttamente da un corto dello Studio Colorido, ho percepito la stessa scintilla che si prova quando un personaggio secondario ruba improvvisamente la scena. Quel tipo di magia semplice, immediata, quasi infantile, che non si può spiegare senza tornare mentalmente ai tempi in cui un Tamagotchi diventava il compagno più prezioso dello zaino. Mirumi recupera quell’emozione originaria e la riformula con il linguaggio della robotica giapponese contemporanea, mescolando morbidezza, ingegneria miniaturizzata e una filosofia interattiva che punta dritta alle emozioni.
Il nome, non a caso, nasce dall’unione di miru — “guardare” — e nuigurumi, il termine usato per descrivere i peluche. Una fusione terminologica che anticipa perfettamente l’esperienza: un robot che non parla, non cammina, non cerca di imitare l’umano, ma osserva. E quell’osservazione, quell’occhiata rapida, quell’attimo rubato mentre alzi gli occhi dal telefono crea un legame sorprendentemente autentico, come se una particella di quotidiano prendesse vita solo per te.
L’idea alla base di Mirumi nasce dalla visione di Yukai Engineering, la stessa realtà giapponese che negli anni ha trasformato il concetto di robot domestico in un’estensione emotiva della persona. La loro missione, come raccontato nelle informazioni aziendali diffuse negli ultimi anni, è creare dispositivi capaci di generare connessioni, non funzioni.
Allegalo alla borsa, allo zaino, alla cintura, o a qualunque supporto gli sembri abbastanza “coccoloso” da stringere con le sue braccine flessibili. Da quel momento inizierà a esplorare ciò che lo circonda. Quando percepisce un suono si volta curioso, proprio come fanno i personaggi disegnati quando entrano per la prima volta in una scena e cercano di capirne il mood. Quando ti sfiora l’istinto di accarezzarlo, reagisce con movimenti delicati, quasi esitanti, che evocano la timidezza tenera di un cucciolo. È un linguaggio fatto di micro-gesti, costruito grazie a un algoritmo che rimescola le risposte in modo imprevedibile, così che nessuna interazione risulti identica alla precedente.
Il risultato è una presenza discreta, mai invadente, capace però di catturare l’attenzione come gli oggetti di scena dei film Ghibli: dettagli minuscoli che diventano protagonisti inattesi.
L’illusione del “vivente” nel palmo delle mani
Uno degli aspetti più sorprendenti è la cura maniacale dedicata alle sensazioni tattili. La struttura soffice richiama i materiali più amati dell’artigianato giapponese, mentre il design miniaturizzato rende Mirumi perfetto da tenere tra le mani. L’azienda ha ridotto le dimensioni rispetto ai primi prototipi per ottenere una silhouette compatta e naturale, quasi un “pet robot” pensato per accompagnarti in movimento.
Le braccia meritano un capitolo a parte: l’equilibrio tra flessibilità e presa salda consente al robot di aggrapparsi senza fatica anche a supporti molto sottili. Un dettaglio tecnico che diventa immediatamente un gesto narrativo — sembra davvero che il piccolo compagno scelga di non lasciarti andare.
Il motore emotivo di Mirumi si alimenta attraverso il suo piccolo cuore elettronico: sensori tattili nella testa, microfoni che fungono da orecchie elettroniche, un chip interno che decodifica segnali e genera le azioni, e servo-motori che trasformano gli impulsi in movimenti. Ma l’aspetto più affascinante, quello che lo distingue da tanti gadget reattivi, è l’algoritmo sviluppato da Yukai. La randomizzazione delle reazioni restituisce una sensazione di spontaneità, la stessa sensazione che si prova quando un gatto decide improvvisamente di fissarti come se avesse appena scoperto qualcosa di profondissimo su di te.
L’illusione del “vivente” si amplifica anche grazie ai segnali legati alla batteria. Quando l’energia scende, Mirumi scuote la testa con un moto affaticato, come uno studente esausto dopo troppe ore di lezione. Una volta ricaricato, solleva il capo con entusiasmo, quasi fosse pronto a una nuova giornata di avventure. Questi piccoli momenti sono ciò che rendono Mirumi più simile a un personaggio che a un oggetto.
Il trionfo su Kickstarter e il richiamo globale dell’ingegneria giapponese
La campagna Kickstarter ha confermato una verità che ogni fan della robotica cosplay-friendly conosce bene: quando un gadget unisce tecnica e carisma, il pubblico risponde con entusiasmo. Le versioni disponibili — grigia, rosa e avorio — sono state richieste da backer di tutto il mondo, nonostante il prezzo finale si sia quasi raddoppiato rispetto alle prime ipotesi dell’azienda.
Il costo attuale, per i sostenitori più rapidi, si aggira intorno ai 118 dollari, mentre chi arriva in ritardo dovrà considerare circa 140 dollari. Il prezzo pieno previsto sarà di 150 dollari, un valore sorprendentemente contenuto se si pensa alla cura progettuale e al pedigree di Yukai Engineering, già premiata con riconoscimenti come i Best Robots of CES, i Best Innovations e persino i Good Design Award. La loro esperienza con prodotti come Qoobo o Nékojita Fufu ha costruito una community internazionale che guarda ai loro robot come a compagni emozionali, non gadget da scaffale.
Un compagno da anime urbano
Mirumi entra nel quotidiano con la stessa delicatezza di una scena slice-of-life: lo infili nella borsa e lo lasci fare, ed è proprio questo minimalismo emotivo a trasformarlo in una piccola presenza che addolcisce la giornata. Ogni volta che si muove, ogni inclinazione della testa, ogni sguardo rubato ti strappa un sorriso. Non serve altro — nessuna app, nessuno schermo, nessuna interfaccia da configurare.
Questo robot non vuole ottimizzare, calcolare o misurare. Vuole partecipare. Un’idea che si sposa perfettamente con la visione comunicativa emozionale valorizzata dalle linee guida editoriali consultate, dove l’interazione con il lettore, la creazione di legami e la capacità di raccontare storie rappresentano un pilastro narrativo fondamentale .
Mirumi diventa così un oggetto-storia, un personaggio accessorio che arricchisce il tuo “universo”. È come portare con sé un frammento di mondo animato, una mascotte semi-sentiente che ti accompagna tra le pagine della tua vita quotidiana.
Perché Mirumi sta parlando al fandom come pochi altri robot
Chi vive immerso nella cultura pop giapponese conosce bene l’importanza dell’affection design: la capacità di creare tecnologia che non solo funziona, ma comunica. Mirumi si inserisce perfettamente in questa tradizione, portando in giro un tipo di interattività che sembra studiata per chi ama gli amuleti elettronici, i companion robot, le creature digitali che crescono con noi.
Il suo successo non dipende dall’utilità, ma dall’effetto narrativo che genera. È come un “cameo” continuo all’interno della tua giornata, un personaggio che improvvisamente prende vita nella tua borsa e ti ricorda che la tecnologia può essere anche un mezzo per raccontare emozioni.
Ed è qui che nasce la domanda che vorrei lanciare alla community:
quanto siamo pronti ad accogliere nel nostro quotidiano robot che non servono, ma “sentono”?
Chi ama i mondi geek sa bene quanto questi piccoli dispositivi riescano a diventare icone affettive, e Mirumi sembra intenzionato a conquistare il suo posto accanto ai gadget più memorabili degli ultimi anni.
L’articolo Mirumi: il robot da borsa che trasforma ogni giornata in un piccolo anime slice-of-life proviene da CorriereNerd.it.







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