
C’è un momento, nel racconto di ogni grande impero, in cui la narrazione inizia a scricchiolare. Non perché il castello stia crollando, ma perché le sue fondamenta sembrano muoversi in direzioni contrarie. È un po’ la sensazione che si prova guardando gli ultimi annunci provenienti dalla Casa del Topo. Da un lato, la Disney che conosciamo continua il suo passo incalzante verso il “tutto è contenuto, tutto deve essere monetizzabile”. Dall’altro, si affaccia improvvisamente un ricordo antico, quasi impossibile, di quell’arte disegnata a mano che ha contribuito a definire l’immaginario collettivo del Novecento.
Ed è proprio questo doppio movimento, simultaneo e straniante, che lascia addosso una perplessità difficile da scrollarsi di dosso. Perché mentre la Disney di Bob Iger spalanca le porte ai contenuti generati dagli utenti tramite IA — sì, persino utilizzando personaggi legati da decenni a copyright blindati — nelle retrovie gli Studios ricostruiscono silenziosamente un reparto di animazione 2D che non si vedeva da oltre dieci anni.
Una mano dà in pasto l’IP alle AI, l’altra rispolvera i taccuini degli animatori. E noi, nel mezzo, cerchiamo di capire quale sia l’identità reale della Disney del 2025.
L’annuncio che fa discutere: Disney+ diventa un cantiere di contenuti generativi
Tutto è cominciato durante la tradizionale call con gli investitori, in cui Bob Iger ha definito la nuova fase di Disney+ come “il cambiamento più significativo, dal punto di vista del prodotto e della tecnologia”. In questa frase, apparentemente neutra, si nasconde una rivoluzione che nessun fan dei classici Disney avrebbe mai immaginato di vedere: gli abbonati potranno utilizzare gli strumenti IA della piattaforma per creare contenuti brevi con i personaggi dell’azienda.
La collaborazione con Epic Games non si limiterà a qualche skin in Fortnite o a progetti multimediali sperimentali, ma diventerà la base di un ecosistema interattivo in cui ogni utente potrà produrre, modificare e condividere clip generate artificialmente con Topolino, Elsa, la Marvel, Star Wars e l’intera flotta del patrimonio Disney.
Se l’idea ti dà un brivido lungo la schiena, non sei solo. Perché oltre al timore che il web venga sommerso da video di Stitch che balla il reggaeton o da versioni AI di Frozen che recitano monologhi improbabili, c’è una questione ben più profonda. Per decenni Disney ha difeso la sua proprietà intellettuale con ferocia — basti pensare alla modifica del copyright del 1998, ribattezzata “Mickey Mouse Protection Act”. E ora, improvvisamente, lascia che gli utenti giochino con i suoi personaggi, purché lo facciano sulla piattaforma Disney+. Una permissione che sa di calcolo, più che di apertura.
È un po’ come quei genitori che, non potendo più impedire a un adolescente di bere alcolici, scelgono di farlo bere solo in casa, “così almeno lo controlliamo noi”. Ci puoi provare, dice la Disney, ma fallo dove possiamo sorvegliarti. E, soprattutto, monetizzarti.
Il paradosso di un’arte che si sfalda mentre un’altra cerca di rinascere
Eppure — ed è qui che la storia diventa quasi surreale — mentre l’intelligenza artificiale sfiora l’IP Disney con le sue mani digitali, in un corridoio degli Walt Disney Animation Studios si sente un suono che pensavamo perduto. Non è un rendering, non è un cluster computazionale, non è una pipeline di shading. È grafite. È pennello. È mano. Durante lo scorso Festival di Annecy, Jared Bush — produttore e attuale Chief Creative Officer degli Studios — ha pronunciato una frase che ha fatto sussultare gli appassionati: “Posso confermare che abbiamo artisti 2D che stanno facendo cose incredibili e folli”. Non ha aggiunto altro, come chi sa di aver già detto troppo, ma abbastanza per incendiare la fantasia di chi ancora ricorda cosa significava vedere un foglio prendere vita senza l’aiuto di un algoritmo.
L’ultimo film Disney interamente disegnato a mano è del 2011: Winnie the Pooh. Dodici anni di silenzio creativo in cui il 2D è rimasto relegato a cameo e cortometraggi. Ora, però, diversi insider parlano di un team ricostituito, di una pipeline aggiornata e della volontà di tornare a un lungometraggio completamente tradizionale.
La domanda sorge spontanea: perché risvegliare la magia dell’animazione classica proprio mentre si spalanca la porta a una generazione di contenuti artificiali?
Il ritorno del 2D come risposta alla saturazione della CGI
Forse perché la CGI, pur splendida, ha raggiunto un plateau estetico. È perfetta, levigata, calibrata, ma spesso manca di quella vibrazione del tratto umano che non è imitabile. Il successo internazionale di film disegnati a mano — dallo Studio Ghibli a piccoli studi indipendenti — ci ricorda che esiste un desiderio di imperfezione viva, di poesia cinematografica che non nasce da un modello matematico ma da un gesto.
Disney, che ha definito l’animazione come linguaggio planetario, non può ignorare questa nostalgia crescente. E forse, mentre osserva l’industria venir travolta dai modelli generativi, sente l’esigenza di tornare alle origini per ritrovare un’identità che oggi sembra sfuggirle.
Tra profumo di carta e odore di silicone: quale Disney ci aspetta?
È difficile dire quale delle due anime prevarrà. La Disney che strizza l’occhio all’IA con la stessa spavalderia con cui produce remake live action a catena o quella che resta in silenzio a guardare un animatore tracciare linee su un foglio luminoso. La perplessità nasce proprio da questa coesistenza dissonante, quasi un effetto Moebius tra passato e futuro.
Forse ci attende una Disney bifronte: una che genera contenuti “on demand” per un pubblico abituato alla velocità dei social e una che tenta di riconquistare l’incanto del cinema artigianale. Un equilibrio fragile, destinato prima o poi a pendere da una parte o dall’altra.
Ed è proprio questa tensione a rendere la situazione così inquietante, quasi disturbante. Perché la domanda che aleggia non riguarda solo il destino dell’animazione: riguarda il valore stesso dell’arte in un mondo che la inghiotte e la risputa in formato algoritmico.
A questo punto, la parola passa a voi
Siamo davvero pronti a vedere una valanga di contenuti IA con Topolino protagonista? È questo il futuro che vogliamo per la creatività? E, soprattutto, quanto vi emoziona l’idea di un ritorno al 2D Disney sul grande schermo?
Raccontatemelo nei commenti. Perché stavolta la magia — quella vera — potrebbe dipendere proprio da ciò che desideriamo vedere accadere.
L’articolo Disney tra intelligenze artificiali e ritorno al 2D: il paradosso che lascia perplessi proviene da CorriereNerd.it.







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