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Papa Leone XIV e la nuova “Rerum Novarum” sull’Intelligenza Artificiale

La rivoluzione digitale ha trovato il suo interprete spirituale. E porta un nome che evoca un’eredità precisa: Leone XIV. Non è solo il nome di un nuovo pontefice, ma il manifesto di una visione, la promessa di una Chiesa che non intende restare spettatrice passiva di fronte alla più grande trasformazione tecnologica dopo la rivoluzione industriale: l’avvento dell’intelligenza artificiale.

Nel suo primo discorso al Collegio cardinalizio, pronunciato sabato 10 maggio nell’Aula nuova del Sinodo, il neo-eletto Papa, al secolo Robert Francis Prevost, ha tracciato la rotta del suo pontificato. Il cuore pulsante del suo intervento non è stato solo spirituale ma decisamente anche culturale, etico, sociale. Un’affermazione potente: «Ho scelto il nome di Leone XIV principalmente perché Leone XIII, con l’enciclica Rerum Novarum, affrontò la questione sociale ai tempi della rivoluzione industriale. Oggi, la Chiesa è chiamata a rispondere a un’altra rivoluzione: quella dell’intelligenza artificiale».

Una frase che rimbalza con forza nei corridoi del Vaticano e tra gli analisti del mondo tecnologico. Perché se nel 1891 Leone XIII si fece portavoce dei diritti dei lavoratori nell’era delle fabbriche e del capitalismo selvaggio, oggi Leone XIV sembra voler alzare la voce sul rischio di una nuova alienazione digitale, su un mondo governato da algoritmi dove l’essere umano rischia di essere ridotto a parametro o metadato.

L’IA come nuova questione sociale: etica, lavoro e giustizia nell’era degli algoritmi

Nel suo discorso ai cardinali, Leone XIV ha riconosciuto apertamente che l’intelligenza artificiale rappresenta una sfida non solo tecnologica ma profondamente antropologica. “Gli sviluppi dell’intelligenza artificiale comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”, ha dichiarato. Il Papa ha citato i suoi predecessori – da Benedetto XVI a Francesco – ma ha voluto soprattutto radicare la sua visione in quella che potremmo definire una nuova dottrina sociale della tecnologia.

Questo approccio non nasce dal nulla. Già nel 2024, quando ancora era cardinale, Prevost aveva avvertito sui pericoli di un progresso incontrollato, durante una conferenza latinoamericana dedicata al cambiamento climatico. Oggi, quelle parole suonano come un preludio: se l’ambiente è la casa dell’uomo, l’IA è il nuovo strumento con cui l’uomo rischia di ristrutturarla, con esiti ancora incerti.

Ma cosa vuol dire davvero, per la Chiesa, affrontare la sfida dell’intelligenza artificiale? Significa, innanzitutto, riaffermare il primato della coscienza umana sulla macchina. In una nota vaticana di gennaio 2025, intitolata significativamente Antiqua et nova, si legge che le intelligenze artificiali possono scegliere, ma non decidere in senso morale. Una distinzione sottile ma fondamentale: l’algoritmo può calcolare, ma non discernere. Può prevedere, ma non amare. Può ottimizzare, ma non sacrificarsi. L’anima, insomma, non è codificabile.

L’algoretica, l’etica degli algoritmi e la continuità con Papa Francesco

Leone XIV, nel suo discorso, ha ribadito anche l’importanza dell’algoretica, concetto già promosso da Papa Francesco nel G7 del 2024. Un’etica degli algoritmi capace di indirizzare lo sviluppo dell’IA verso il bene comune, l’inclusione sociale e la giustizia globale, in contrasto con un’idea di tecnologia dominata solo dalla logica del profitto o del controllo.

Questa visione della Chiesa è tutt’altro che retrograda. Al contrario, essa rappresenta un’avanguardia culturale e filosofica, una proposta etica globale nel bel mezzo di un dibattito mondiale dove le voci umanistiche rischiano di scomparire, soffocate dal rumore bianco dei big data. È come se il Vaticano avesse deciso di entrare nel dibattito sul futuro del digitale non da spettatore ma da interlocutore attivo, proponendo una visione non tecnofobica ma tecnocritica, fondata sulla centralità della persona.

Come a voler ribadire che ogni rivoluzione, anche quella digitale, ha bisogno di radici spirituali, Papa Leone XIV ha compiuto, quasi in parallelo al discorso ai cardinali, una visita a sorpresa al Santuario della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano. Un gesto che richiama la sua devozione personale, ma anche un messaggio simbolico: nel tempo delle intelligenze artificiali, serve più che mai un “buon consiglio” umano, spirituale, etico. Non tutto può essere delegato all’efficienza degli algoritmi.

L’IA secondo la visione della Chiesa

Da giornalista che segue da anni il mondo dell’intelligenza artificiale, non posso che trovare affascinante e coraggiosa la posizione assunta da Papa Leone XIV. In un’epoca in cui molti dei leader politici e industriali si limitano a rincorrere l’innovazione, senza porsi domande sulle sue implicazioni etiche profonde, il Papa sceglie invece di alzare una bandiera umana e spirituale nel cuore del mondo digitale.

La Chiesa, che per secoli è stata accusata di essere lenta e conservatrice, oggi appare sorprendentemente lucida nel riconoscere che l’intelligenza artificiale è una nuova “questione sociale”, paragonabile all’industrializzazione o all’urbanizzazione. E lo fa non per condannare la tecnologia, ma per interrogarla. Per provocare riflessione. Per ricordarci che nessuna innovazione ha valore se dimentica l’uomo.

In questo senso, la “Rerum Novarum dell’IA” che Leone XIV si appresta a scrivere – probabilmente nella sua prima enciclica – potrebbe diventare un documento storico, un punto di riferimento etico non solo per i credenti ma anche per chi, laicamente, cerca una bussola morale nel labirinto delle tecnologie emergenti.

Se davvero vogliamo un futuro in cui l’intelligenza artificiale serva l’umanità – e non la domini – allora abbiamo bisogno anche di voci come questa. Di visioni profonde, non solo di soluzioni ingegneristiche. Di una nuova alleanza tra etica e tecnologia. E forse, sì, anche di un po’ di buon consiglio.

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